martedì 6 novembre 2012

Certe domande.




Recentemente mi è capitata questa domanda, 'perché lavorare nel mondo della cultura? 

Certe risposte sono più imbarazzanti delle domande. Certe risposte ti accartocciano nei tuoi paradossi e difficilmente ne vieni fuori senza ammettere quelle due o tre cose che, potenzialmente, potrebbero rovinarti.

Intanto, questo mestiere lo farei anche gratis. Lo diceva anche il Maestro Montanelli, si stupiva anzi che, addirittura, lo pagassero. Tutti quei romanzetti bohemien intorno al Mestiere pagato da fame, non dicono la verità. Almeno, non tutta. C’è qualcosa che nutre in questo mestiere dello stesso cibo con cui si lavora, qualcosa che ha un valore e non un prezzo. Parlare di cultura è già abbastanza inebriante. Sazia.

Eppure la Cultura è un equivoco. Un fraintendimento. Non contiene tutto quello che ci circonda. Ma tutto quello che ci circonda è cultura. La differenza è sottile, un gesto, un suono. E’ l’ufficiale tedesco che salva la vita a Szpilman ne ‘Il Pianista’ di Polanski, dopo averlo sentito suonare. E’ il sopracciglio alzato di Simon Cowell, quando Susan Boyle intona le prime note di ‘I Dreamed a Dream’,  sul palco di Britain's Got Talent. A volte, è impercettibile. Come Joshua Bell e il suo Stradivari nella metropolitana di Washington, passando l’hanno sentito suonare più di mille persone ma solo una ha riconosciuto uno dei più grandi musicisti del mondo.


La Cultura non è uno status. Non è un traguardo. Non è vanto. La Cultura non è sapere. La Cultura è capire. E’ uno strumento. Un mezzo. 
E’ la differenza tra abitare il mondo e possederlo.




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